Chi Siamo

Concrete Visioni: un contenitore di idee e punti di vista, uno spazio di confronto e discussione, una finestra sull’America Latina e i Sud del mondo, sui movimenti sociali e sulle “giuste” cause.

Concrete Visioni: un angolo per parlare e interrogarsi sulla fotografia sociale e sul mondo del reportage, un luogo per promuovere una fotografia che oltre a denunciare ed informare cerca anche atti di concretezza. Una vetrina per i diversi progetti sociali sostenuti e finanziati attraverso progetti fotografici.

Chi siamo


Edith Moniz Barreto Ferreira e Paolo D’Aprile

Molti anni di lavoro su tanti fronti, dalle profondità delle favelas più povere fino agli uffici di cristallo dei padroni del potere. Molte lacrime versate, frustrazione, solitudine, disperazione e morte. Molti amici, allegria, feste e risate.

Edith Moniz Barreto Ferreira, educatrice per vocazione, scelta e convinzione, nasce nel sertão di Bahia nella città di Rio Real. All’età di sei anni arriva a São Paulo, in fuga dalla miseria, dalla siccità e dalla fame. Oggi, già nonna, continua il suo lavoro per inventare, creare e ricreare opportunità per chi non ne ha mai avuto.

Paolo D’Aprile, fisioterapista per caso, italiano di Parma ma brasiliano per vocazione, scelta e convinzione, arriva a São Paolo all’età di ventisei anni. Entra da subito in contatto con le situazioni estreme della città e comincia il lavoro che lo poterà da una punta all’altra della sofferenza umana. Lavora con Edith dal 2000.

Insieme sono stati protagonisti della creazione e dello sviluppo di due progetti sociali nati nelle favelas diretti al riscatto del diritto alla cittadinanza. Nelle vie e nelle piazze della città hanno fondato una scola itinerante per i bambini e ragazzi di strada.


David Lifodi (Siena, 1976) collabora con il sito internet www.peacelink.it ed il blog di Daniele Barbieri scrivendo sulla realtà sociale e politica dell’America Latina. “Mi occupo di diritti umani, ecologia, diritti civili, giornalismo, movimenti sociali e tutto quanto riguarda il continente latinoamericano”

www.peacelink.it


Andrea De Lotto (1965) milanese di origine, maestro elementare, psicomotricista, padre di due “bimbi”, attivista quando e quanto può, dopo due anni a San Paolo, vive dal 2007 a Barcellona.


Martina Giordani (Trento, 1987), laureata in Sviluppo e Cooperazione Internazionale e in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ha fatto diverse esperienze di studio, volontariato e tirocinio negli USA, nei paesi dell’Europa meridionale (Grecia, Portogallo, Grecia) e in Brasile. Dal 2011 aiuta il fotografo Giulio Di Meo nell’organizzazione di corsi di fotografia sociale e di reportage in Italia e all’estero, nonché nelle sue pubblicazioni fotografiche. Dal 2013 fa parte della redazione della rivista di fotogiornalismo online Witness Journal e attualmente è operatrice presso lo sportello informatico per i cittadini, principalmente stranieri, a Bologna, dove vive da diversi anni.


Giulio Di Meo, nato a Capua (Ce) nel 1976, è un fotografo impegnato nel reportage sociale che porta avanti i propri progetti in modo indipendente. Crede nella fotografia come strumento per informare e denunciare e come mezzo di cambiamento personale, sociale e politico. Negli anni, inoltre, ha realizzato libri, mostre e incontri al fine di raccogliere fondi per i progetti sociali che si muovono intorno alle realtà di cui si è occupato nei suoi reportage.

www.giuliodimeo.it


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 LA FOTOGRAFIA SOCIALE

“La fotografia è necessariamente sociale, anche se di strade per raccontare quello che succede intorno a noi ce ne sono diverse. Purtroppo oggi se ne sceglie quasi sempre una banale, violenta, piena di clichè, immagini che hanno contribuito ad assuefare le nostre coscienze. Sarebbe bello se la fotografia potesse risvegliare la nostra indignazione e al tempo stesso restituire dignità a coloro che vivono ai margini di questa stessa società. Non è facile, ma ci si può riuscire. C’è bisogno di una fotografia che necessità di una sensibilità, di un’etica, di un impegno particolare. Una “fotografia” che vuole essere una sorta di ricerca antropologica dove il fotografo viene immerso nel contesto che lo circonda, dovendosi inserire in tale realtà senza creare ulteriori difficoltà. Una fotografia desiderosa di farsi carico delle lotte, della rabbia, delle ingiustizie che ci circondano; una fotografia capace di indignare parlando con amore, passione, speranza. E’ questa quella che io amo definire la mia fotografia, è questa che cerco di trasmettere durante i miei workshop. Fotografare con uno spirito impregnato di intensa umanità è a mio avviso il solo modo per comprendere le storie delle persone che si incontrano per le strade del mondo, catturarle e restituirle dignitosamente agli occhi di chi non piange più quando si imbatte in una immagine che dovrebbe emozionare.”

giulio di meo

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